Villa Museo Giacomo Puccini
Torre del Lago, Viareggio
Giacomo Puccini visse a lungo nella villa di Torre del Lago, arricchendola di arredi sempre nuovi e decorazioni e dipinti che commissionava ai pittori che frequentavo il lago, fra cui Plinio Nomellini, che dal 1901 viveva in una casa attigua a quella del Maestro. Fu proprio Nomellini a fargli conoscere Galileo Chini, a cui Puccini commissionò il grande pannello ceramico che ora si trova sopra il camino della sala. Il pannello riassume in sé molti stilemi Liberty: su un fondo bianco risalta un putto che sorregge un grande tralcio di rose rosa, che si snoda sinuosamente lungo tutta la lunghezza del pannello; le rose si insinuano fra nastri gialli ed esili steli di bambù dal tenero color verde, mentre nuvole rese con sottili linee d’oro fanno da raffinato sfondo alla composizione.
Da questo incontro nacque fra Chini e Puccini un rapporto di stima e d’amicizia che durò fino alla morte di Puccini, che volle Chini per realizzare le scenografie del Gianni Schicchi e della sua ultima opera, Turandot
Turandot, il sogno di Galileo Chini e Giacomo Puccini
Galileo Chini realizzò le scenografie per l’opera Turandot di Giacomo Puccini fra il 1924 e il 1926; le scene, di grande suggestione, furono fortemente influenzate dai ricordi del suo lungo soggiorno in Siam, dal 1911 al 1913, quando il Re del Siam Rama V l’aveva chiamato a decorare l’Ananta Samakhom Trone Hall, il nuovo grandioso Palazzo del Trono. E fu proprio per questo profondo legame di Chini con l’Oriente, che Puccini lo volle al suo fianco per le scenografie di Turandot.
Tratta da una fiaba drammatica di Carlo Gozzi, autore veneziano del ‘700, ed ambientata in una Cina fantastica, fu una creazione quanto mai tormentata, cui Puccini lavorò dal 1920 fino alla morte, avvenuta il 29 novembre del 1924 a Bruxelles. In essa Puccini unì sonorità della tradizione operistica italiana con le nuove ricerche tonali dell’epoca (vi si colgono riferimenti a Debussy e Stravinskij), assieme alla ricerca di motivi musicali esotici che potessero evocare l’antico Oriente. A questo scopo usò anche le sonorità di uno xilofono basso siamese, appositamente riprodotto da un esemplare che proprio Chini aveva riportato in Italia.
Chini e Puccini cominciarono a collaborare per Turandot all’inizio del 1924, e per Chini fu facile capire ciò che l’opera richiedeva. Già nel maggio del 1924, il 19, Puccini scriveva da Viareggio ai responsabili della Casa Musicale Ricordi, Valcarenghi e Clausetti: “Venerdi alle 5 verrà da voi Chini coi bozzetti-scene. A me pare che vada bene…”.
Chini eseguì i bozzetti dei tre atti con cinque quadri in varie versioni: bozzetti di grande bellezza, dipinti con immediatezza e perfettamente in sintonia con la storia da raccontare, estremamente evocativi e come indispensabili alla musica.
L’opera doveva andare in scena nel 1925, ma l’improvvisa morte di Puccini, avvenuta il 29 novembre del 1924 a Bruxelles, fece slittare la prima alla primavera del 1926. E così nel gennaio del 1926 Chini lavorava nei grandi saloni da scenografia posti sopra il palcoscenico della Scala, aiutato da Giovanni Magnone.
Il teatro era stato rinnovato recentemente, migliorando l’illuminazione con oltre 400 lampade da 2000 candele; inoltre era stata installata la “Cupola Fortuny”, un particolare dispositivo illuminotecnico inventato da Mariano Fortuny, che permetteva cambiamenti graduali o rapidi della luce, con la possibilità di sfumare luci colorate raggiungendo effetti quasi pittorici, e Chini ne sfruttò a pieno le potenzialità per rendere ancora più suggestive le sue scenografie.
Le cronache dei giornali dell’epoca raccontano che la sera del 25 aprile alla Scala si percepiva vivamente l’attesa di un evento eccezionale. Era la prima di Turandot, l’ultima opera incompiuta di Puccini, completata e diretta da Arturo Toscanini, e la serata fu memorabile in tutto: per la splendida partitura sonora, per la storia rappresentata, per la magnificenza delle scenografie in sintonia perfetta con la musica e per i bellissimi costumi realizzati da Caramba con l’aiuto di Chini, che furono utilizzati solo per le rappresentazioni alla Scala.
Oltre all’eccelso valore artistico della rappresentazione, la serata rimase poi nella storia per la commozione che colse tutti i presenti quando Toscanini, dopo la morte di Liù, interruppe la musica e voltandosi verso il pubblico, con voce rotta dall’emozione disse: “Qui finisce l’opera, rimasta incompiuta per la morte dell’autore.”
Approfondimento
Giacomo Puccini arriva a Torre del Lago nel giugno 1891, in compagnia della moglie Elvira e del figlio Antonio, mentre sta scrivendo la sua terza opera Manon Lescaut. La località prende il nome da un’antica torre di guardia che sorgeva sulla riva del lago di Massaciuccoli, trasformata nel tempo in dimora rustica e abitata dal guardiacaccia Venanzio Barsuglia.
Puccini si innamora subito del Lago, della sua natura incontaminata e dei suoi silenzi, e decide di trascorrere qui l’estate e le successive vacanze, fino a quando, nel 1899, con i proventi del successo di Bohéme potrà acquistare la casa torre e ristrutturarla, trasformandola nell’attuale abitazione a due piani dal tipico aspetto delle ville borghesi di fine Ottocento, con il lago che allora lambiva il vialetto intorno alla cancellata del giardino.
La Villa, trasformata in un Museo nel 1925 dal figlio Antonio, conserva intatto l’aspetto originale. Nella sala principale si trovano il pianoforte Förster, i ritratti del Maestro in varie epoche della sua vita, la maschera funebre e il paravento, prezioso dono dal Giappone e la sopra descritta decorazione del camino di Galileo Chini.
Le altre stanze come la veranda, la sala dei manoscritti e la cucina raccolgono invece oggetti di vita quotidiana, onorificenze e riconoscimenti da tutto il mondo, quadri degli amici macchiaioli, compagni di vita e di caccia, ritratti di amici e collaboratori del Maestro e le sue ultime parole scritte di pugno dopo l’operazione alla gola. Nella stanza della caccia sono conservati i preziosi fucili, i trofei venatori, le scarpe e gli stivali. Nel 1926 Giacomo Puccini venne sepolto nella cappella ricavata da un salottino e decorata con le allegorie della musica. Oggi riposa assieme ai suoi famigliari: la moglie Elvira, il figlio Antonio, la nuora Rita e la nipote Simonetta.
Nel Museo, rimasto immutato nel tempo, è possibile ritrovare l’ambiente in cui viveva Giacomo Puccini; passeggiando nelle stanze, si assapora l’atmosfera di questo luogo così unico dove il Maestro, nel silenzio della natura, trovava l’ispirazione per le sue immortali melodie.