Palazzo Albergotti – Archivio di Stato
Arezzo
Nel 1901 la Cassa di Risparmio di Arezzo decise di fare dell’antico Palazzo Albergotti la propria sede ed acquistò le varie parti dello stabile da sette proprietari.
Il 20 aprile 1903 iniziarono i lavori di ristrutturazione che dettero al palazzo un aspetto molto simile all’attuale. Nel 1905, terminati i lavori strutturali, il palazzo fu affidato all’estro artistico di Galileo Chini, che ne curò l’intera decorazione, dai dipinti murari alle parti in pietra serena e in ceramica.
Il fregio decorativo della facciata
All’esterno del palazzo Chini realizzò il fregio decorativo sotto la tettoia che copre l’entrata e le scale esterne in pietra serena su via degli Albergotti, e in una parte del sottogronda della facciata su via dei Pileati. La decorazione più significativa è la prima, un’alta fascia decorativa con un tripudio di putti che si stagliano su uno sfondo rosso vivo e blu intenso, fra ghirlande neorinascimentali e prodotti della terra. Nella parte centrale due putti sorreggono un medaglione con un triangolo in cui è inserito un caduceo sormontato da un cavallino nero rampante, emblema della città, mentre la fascia in basso reca il motto in latino della Cassa di Risparmio “Felix est qui divitias simul et mentem habet “(Beato chi ha ricchezza e mente allo stesso tempo). La decorazione su via Pileati, non integra, riporta cartigli con motti, armi nobiliari e nastri, che risaltano su un bel fondo rosso, e nella fascia bassa melograni e medaglioni in cui si ritrova il cavallino rampante.
Allegorie propiziatorie e trionfanti parate
All’interno Chini decorò le scale e la sala del consiglio. Lungo le scale Chini raffigura figure femminili allegoriche e alberi colmi di frutti, con uno stile che unisce richiami neomedievali e neorinascimentali a inflessioni liberty; nel soffitto due putti avvolti da nastri reggono una ghirlanda con la data, MCMV, mentre negli sguanci delle finestre sono rami di melograno dal significato propiziatorio.
Lungo le pareti della Sala del Consiglio si snoda una grande fascia dipinta con un lungo corteo di personaggi in abiti antichi e animali, realizzata con colori squillanti e un disegno dalla raffinata linea Art Nouveau. Il corteo è ritmato da parastre con capitelli corinzi, a simulare un doppio colonnato in cui i personaggi sembrano avanzare lentamente.
Nel 1928 il palazzo venne trasferito a seguito di permuta al comune di Arezzo e da questo alienato, nel 1934, alla Federazione dei Fasci di Combattimento di Arezzo, che vi istituiva la Casa del Fascio Arnaldo Mussolini. Al termine della Seconda Guerra Mondiale i beni appartenuti al Partito Nazionale Fascista vennero tutti inglobati dal Demanio dello Stato e il palazzo fu destinato ad essere sede dell’Archivio di Stato, di cui è ancora oggi la casa.
Approfondimento
Le prime notizie certe del complesso risalgono al XIV secolo, quando il sito era caratterizzato dalla presenza di due torri: l’una ancor oggi visibile, già denominata della Bigazza e appartenuta nel 1366 alla famiglia Sassoli al pari dell’altra, mentre lo spazio tra le due costruzioni era occupato da botteghe. Alla metà del ‘500, dopo aver accorpato le varie proprietà, vi abitava Francesco di Francesco Albergotti, il cittadino più ricco della città, che lasciò la sua ingente fortuna all’unica figlia Margherita la quale andò in sposa al cugino Nerozzo. Nel 1672 l’edificio passò alla famiglia Bacci e rimase a questa casata sino alla fine del ‘700 quando confluì nelle proprietà della famiglia de’ GIudici. Dopo di allora il fabbricato venne venduto a vari acquirenti perdendo, oltre alla sua unità, anche l’importanza e il decoro avuto sino ad allora. Attorno alla metà del XIX secolo una parte dell’edificio era data in locazione al comune di Arezzo, che vi alloggiava il Corpo dei Carabinieri Reali del Granducato di Toscana.